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Pubblicato il 06 Settembre, 2017

La prevenzione degli infortuni sul lavoro si ottiene di più con l’addestramento che non con la formazione generale e specifica

 

Di ing. Riccardo Borghetto, amministratore unico Lisa Servizi srl, esperto in analisi e modifica del comportamento

Ing. Ugo Fonzar, amministratore unico Studio Fonzar & Partners srl, esperto in sicurezza macchine, 231 e consulente di grandi organizzazioni.

 

Il legislatore Italiano nell’ambito della normativa relativa alla sicurezza sul lavoro ha dato negli ultimi anni moltissima enfasi alla formazione, partendo dal presupposto che la formazione è una efficace barriera per prevenire incidenti e infortuni sul lavoro (nonché le malattie professionali).

L’importanza che il legislatore attribuisce alla formazione lo troviamo già nelle definizioni (art. 2 del D.Lgs. 81/08 co. aa):

“«formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi;”

 

Il concetto di “processo” educativo vorrebbe intendere una attività svolta con carattere di continuità. Qualcosa di diverso rispetto a quanto indicato negli accordi Stato Regioni sulla formazione basati su una formazione iniziale (parte generale e rischi specifici) più un momento di aggiornamento da svolgersi al massimo entro cinque anni di minimo 6 ore.

Il concetto di “acquisizione di competenze per svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, riduzione e gestione dei rischi”, presuppone che la formazione, da sola, sia in grado di governare il comportamento futuro del lavoratore, mettendolo in sicurezza.

È ormai universamente noto che il problema degli incidenti e infortuni sul lavoro è un problema di natura prevalentemente comportamentale. Molti studi concordano nell’individuare la causa radice degli infortuni nel comportamento umano secondo percentuali che a seconda degli studi oscillano dal 50% al 94%.

Ma la formazione non determina il comportamento umano(1)

Supponiamo che un carrellista frequenti il miglior corso disponibile, con il miglior docente e ne esca “formato” in modo efficace.

Inseriamolo in un magazzino di un interporto ove in un giorno vengono caricati e scaricati centinaia di camion con ritmi molto spinti. Supponiamo anche che il responsabile gerarchico del nostro carrellista debba rispettare degli obiettivi di produttività sui quali ci sono importanti incentivi economici.

Al nostro carrellista “formato” è stato sicuramente insegnato di moderare la velocità, soprattutto in curva, incroci, di mettere sempre la cintura ecc. Ma non appena lo farà, rispettando le regole che ha appreso, sarà pesantemente richiamato dal responsabile ad aumentare i propri ritmi di lavoro senza perdere tempo in inutili regole di sicurezza.

È evidente che, nonostante la formazione appresa, il carrellista si adeguerà a quanto imposto dall’esterno. In pratica il suo comportamento si adeguerà alle conseguenze ricevute, ovvero agli stimoli ambientali del contesto in cui opera attivando comportamenti a rischio di cui è perfettamente cosciente.

Facciamo un altro esempio: in una azienda sgangherata, che non ha fatto nulla di formazione, c’è un giudizioso capo magazziniere (leggi “preposto”) che, senza alcun corso fatto dall’azienda, segue amorevolmente i propri sottoposti, mostrando loro come si guida un carrello, l’uso delle cinture di sicurezza, le manovre da fare, parlandone in pausa caffè in modo naturale e appassionato, ascoltando le varie problematiche, dando una bella pacca sulla spalla ai più attenti e proattivi, organizzando le attività in modo che le corse e l’impegno sia razionalizzato tra i lavoratori e, anche se celere, non frettoloso. Come vi attendete il comportamento dei “suoi carrellisti”?

In pratica la formazione (da sola) non influisce direttamente sul comportamento. Il comportamento è sotto il controllo delle “conseguenze ricevute”.

Se non si è ancora convinti di questo basta pensare agli incidenti stradali, commessi da cittadini che sono tutti “formati” e “abilitati”, che sanno benissimo l’elevato rischio che corrono in strada e ciononostante mentre guidano messaggiano sullo smartphone o telefonano sapendo benissimo che si tratta di comportamenti pericolosi, oltre che vietati. In questo caso il problema non è mancata formazione, ma il fatto che i comportamenti a rischio sono rinforzati da conseguenze ambientali immediate piacevoli e che derivano dall’uso degli smartphone.

 

Una parte importante degli incidenti e infortuni gravi e/o mortali che accadono all’interno dei siti industriali sono prevalentemente legati a:

  • situazioni di elevato pericolo ove è necessario l’utilizzo di DPI di terza categoria (come lavori in quota, lavori elettrici, spazi confinati ecc.)
  • lavori che prevedono l’uso di macchine/impianti/attrezzature molto pericolosi (o meglio “attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari di cui all’articolo 71, comma 7”)

 

Tra le misure più importanti per la prevenzione delle situazioni sopra citate è di fondamentale importanza l’addestramento, esplicitamente indicato come obbligatorio per i DPI di terza categoria e l’uso di macchine di cui sopra.

Sicuramente per tali tipologie di rischio ha un valore praticamente nullo o estremamente basso a fini prevenzionali il programma della formazione parte generale e specifica per i lavoratori in base all’accordo stato Regioni del 21/12/2011 (molti si attendono che tale formazione sia sufficiente: si noti che tale formazione copre il titolo I e qualche altro titolo del D.Lgs. 81/08, ma non l’addestramento specifico).

Negli ultimi anni riguardo la formazione sono stati normati:

  • i soggetti formatori e organizzatori
  • i requisiti dei docenti
  • i programmi
  • la durata dei corsi e relativo aggiornamento
  • la metodologia di verifica di apprendimento
  • i contenuti minimi riportati nell’attestato
  • la modalità di archiviazione della documentazione
  • i termini temporali entro i quali è necessario effettuare la formazione in caso di assunzione di personale o cambio mansione.

… e qualche Regione si è spinta a definire persino il tipo di carta e relativa grammatura che deve avere l’attestato.

Dell’addestramento (definito come “complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro;”) la normativa si limita a indicare solamente che “L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.”.

Il fatto che la formazione è normata fin nei minimi dettagli e l’addestramento no, ha portato tutta la filiera della sicurezza (aziende, consulenti, RSPP, enti di formazione, organi di vigilanza) a concentrarsi in modo deciso sulla formazione, trascurando l’addestramento.

Si sono erogate milioni di ore per corsi di formazione, che in buona parte risultano poco utili per prevenire eventi di tipo infortunistico, drenando risorse economiche, di tempo ed energie umane in una direzione poco efficace.

L’addestramento ai fini strettamente prevenzionali è una attività più importante della formazione.

Mentre per la formazione si può anche pensare di aspettare i 60 gg concessi per formare i neo assunti, nessuno si sognerebbe di mettere un lavoratore su una macchina /impianto /attrezzatura pericolosa o DPI di terza categoria prima di avere svolto un adeguato addestramento.

L’addestramento permette un apprendimento più rapido e resistente, in quanto basato sul concetto di modeling (la forma di apprendimento basata sull’osservazione del comportamento altrui mediante neuroni specchio). Inoltre le modalità di apprendimento negli adulti (andragogia) privilegiano forme di apprendimento pratico che interessano di più l’adulto (“fare” piuttosto che “ascoltare”). Cosa invece è stata la formazione? Aule piene di lavoratori spesso annoiati e docenti in giacca e cravatta a dire cose inutili (richieste da obblighi normativi) e talvolta controproducenti per le organizzazioni.

 

Si noti poi che le sentenze di Cassazione riportano spesso la condanna del datore di lavoro per l’adozione da parte del lavoratore di comportamenti scorretti attribuiti dai giudici a mancanza di formazione.

Questa motivazione non è corretta dal punto di vista tecnico-scientifico. È lo schema logico dominante che coinvolge anche le istituzioni, chi scrive le norme e chi le interpreta, tutti digiuni delle leggi scientifiche che regolano il comportamento umano. Ci sono moltissimi casi in cui il comportamento corretto non viene erogato pur avendo effettuato la formazione corretta. Ciononostante per il giudice il fatto che il comportamento sicuro non venga erogato è una condizione sufficiente per affermare che c’è mancanza di formazione e quindi sanzionare.

Si aggiunga poi che la vigilanza, con la filosofia del “comanda e controlla” non ha sempre frutti buoni (con le cattive non si ottiene tutto, anzi, si ottengono molti “furbi”).

Non è facendo più formazione che si risolve il problema, ma agendo sulle cause radice che determinano l’erogazione di conseguenze che agiscono sui comportamenti (come nel caso del carrellista) facendo più addestramento pratico e soprattutto controllando frequentemente e correggendo il comportamento dei lavoratori con tecniche idonee.

 

Che fare allora? Per i macchinari: il manuale delle istruzioni per l’uso, “fonte di sapere e di istruzioni di sicurezza” non lo legge mai nessuno, anzi sì: gli avvocati, i consulenti tecnici e i giudici durante il processo… mentre in reparto o in cantiere, nessuno si sogna di prender in mano un manuale prima di usare una attrezzatura di lavoro. Si faccia quindi delle sintesi, delle “schede macchina”, che indichino ad esempio:

  • i rischi presenti
  • le misure di sicurezza previste
  • i dpi da usare
  • cosa fare
  • cosa non fare
  • in caso di “anomalia” come comportarsi (è uno dei momenti più critici da valutare, dove avvengono i maggiori casi di infortunio)

e poi, dopo aver esposto / consegnato / plastificato queste sintesi, incontrare ad uno ad uno i lavoratori “on the job” e, facendo legger loro tali documenti, capire se si sono scritte cose giuste, corrette, oppure sono istruzioni “non sostenibili” o “poco reali”, facendo emergere le osservazioni e magari anche correggendo tali istruzioni di lavoro, condividendole con gli interessati, facendo magari simulazioni e prove. Poi si aprirà una discussione al fine di comprendere se tutte gli aspetti analizzati sono stati compresi (fino a far un questionario di domande e risposte formali). Se poi si va a formalizzare tutta questa attività, si otterranno anche documenti utili e “opponibili a terzi” ai fini della dimostrazione della cura attuata per tale attività di addestramento (e vera formazione).

 

  1. Si veda a tal proposito l’articolo su Ambiente e Sicurezza del Sole24ore in data 19/11/2011 dal titolo “Behavior based safety: formazione e comportamenti per la sicurezza degli addetti”

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