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Greenwashing

Significato della parola e “I sette peccati capitali” del Greenwashing

Il greenwashing è una strategia di comunicazione in cui si dà l’impressione di avere più responsabilità in ottica ESG rispetto al vero.

Com’è nato il termine greenwashing?

Dall’unione della parola ”green” verde e “washing” pulire o lavare. In Italia è stato tradotto come “ecologismo di facciata” o “ambientalismo di facciata”.

Il termine è stato coniato da Jay Westerveld nel 1986 all’interno di un saggio in cui criticava gli hotel che inserivano nelle camere poster di color verde per promuovere l’idea che riutilizzare gli asciugamani fosse un’innovazione ecologica.

Quali sono gli strumenti per contrastare il greenwashing in Europa? E a quali sanzioni si può andare incontro?

Con la Direttiva 2024/825/UE del 6 marzo 2024 l’UE ha approvato il nuovo decreto contro il greenwashing.

In caso di greenwashing, fino ad oggi, le sanzioni sono state decise da:

  • antitrust,
  • grand jury,
  • autorità europee

e possono essere sanzioni pecuniarie o blocchi di campagne pubblicitarie.

La nuova norma chiede invece ai nuovi Stati di istituire un sistema di verifica e pre-approvazione per le dichiarazioni ambientali.

In che modo le aziende possono fare greenwashing?

Attraverso pubblicità ingannevoli e dichiarazioni fuorvianti nel bilancio di sostenibilità (o nell’analisi della Carbon Footprint).

Segui la nostra pagina per conoscere nel prossimo post i 7 peccati capitali del greenwashing.

I 7 peccati capitali del greenwashing

I claim ingannevoli che le aziende possono comunicare verso consumatori, clienti, fornitori ecc possono essere raggruppati in 7 peccati capitali del greenwashing, ovvero:

  1. Peccato di omessa informazione, in inglese “Hidden Trade-Off”;
  2. Peccato di mancanza di prove, in inglese “No proof”;
  3. Peccato di vaghezza, in inglese “Vagueness”;
  4. Peccato di adorazione di false etichette, in inglese “Worshiping of false labels”;
  5. Peccato di irrilevanza, in inglese “Irrelevance”;
  6. Peccato del minore dei mali, in inglese “Lesser of two evils”;
  7. Peccato di mentire, in inglese “Fibbing”.

 

  1. Peccato di omessa informazione (Hidden Trade-Off)

Questo peccato è tra i più semplici da commettere. Le imprese decidono di omettere alcune informazioni nella valutazione di impatto ambientale del proprio prodotto/servizio ed in particolare quei dati che sono negativi o non proprio piacevoli da dichiarare.

Questo succede soprattutto in aziende che decidono di localizzare la produzione dall’Italia in altri paesi, sempre europei, che magari hanno norme meno ristrettive rispetto le nostre, così possono dichiarare che il prodotto non ha violato alcuna norma ambientale quanto invece, se fosse stato in Italia, non avrebbero potuto operare così.

  1. Peccato di mancanza di prove (No proof)

Questo peccato consiste nel descrivere le caratteristiche di sostenibilità di un prodotto o di una produzione senza avere prove o certificazione di terze parti a sostegno. Questo peccato risulta ricorrente soprattutto nelle pubblicità in cui il consumatore non ha modo di verificare ogni informazione che legge.

  1. Peccato di vaghezza (Vagueness)

Questo peccato si basa sull’utilizzo di termini ambigui che possono trarre in inganno il consumatore come per esempio “senza sostanze chimiche dannose” o “processi amici dell’ambiente”. Utilizzare informazioni vaghe e generiche non permette di comprendere e verificare quanto dichiarato su un prodotto o processo.

Per esempio se riporto su un imballaggio “prodotto con ingredienti naturali” faccio credere al consumatore che il prodotto sia sostenibile. Di fatto anche l’arsenico è un prodotto naturale, ma non vuol dire che faccia bene per la salute.

  1. Peccato di adorazione di false etichette (Worshiping of false labels)

Questo peccato risulta nemico dell’analisi di impatto ambientale dell’intero ciclo di vita di un prodotto ossia la Life Cycle Assessment (LCA) che fornisce dati concreti e affidabili del prodotto. Il peccato in questione si avvale di etichette false o simboli di certificazioni che vengono inventate dall’azienda stessa.

Un esempio possono essere le etichette verdi o simboli come che possono richiamare la natura e l’ecologia come una spiga o una foglia.

  1. Peccato di irrilevanza (Irrelevance)

Il peccato di irrilevanza consiste nel fornire informazioni che nulla hanno a che vedere con l’ambiente e la sostenibilità ma che, in qualche modo, fanno sì che il consumatore percepisca il prodotto che si trova davanti come green e sostenibile.

Un esempio possono essere le certificazioni “CFC” che si riferiscono ai clorofluorocarburi che già dal 1990 si è dimostrato essere nemici dell’ambiente, per cui averlo riportato nel 2024 non aggiunge nulla di nuovo, ma per il consumatore questo viene percepito lo stesso come un prodotto da acquistare perché a tutela dell’ambiente.

In altri casi si possono leggere informazioni su un’etichetta con su scritto “senza” quando magari quell’elemento, ingrediente, prodotto risulta già da tempo vietato dalla legge averlo.

  1. Peccato del minore dei mali (Lesser of two evils)

Questo peccato inganna i consumatori facendo sembrare un prodotto meglio di quello che è in realtà o fa vedere appunto ”il minore dei mali”.

Ad esempio acquistare un’auto elettrica con la convinzione di fare del bene all’ambiente e non inquinare senza interrogarsi su come viene prodotta l’energia elettrica per farla funzionare, quasi esclusivamente ricavata da fonti fossili, o di come è stato progettato il veicolo.

  1. Peccato di mentire (Fibbing)

Questo peccato è quello meno diffuso perché legalmente viene perseguito di più. In questi casi, le aziende mentono su fatti molto difficili da verificare.

Un esempio sono le dichiarazioni che si trovano sulle confezioni di uova sull’allevamento senza antibiotici. Per capire se sono informazioni veritiere bisognerebbe rivolgersi ad associazioni di categoria o comunque ad enti specifici.

Conclusioni

Il greenwashing non si limita solo alle grandi imprese, ma anche alle PMI che spesso, prive di competenze necessarie per sviluppare un piano di sostenibilità, ricorrono a strategie di marketing ingannevoli.

La Direttiva 2024/825/UE del 6 marzo 2024 dell’Unione Europea sicuramente permetterà di ridurre questo fenomeno, anche se sarà necessario contemporaneamente educare il consumatore ad identificare le affermazioni pubblicitarie ingannevoli, e progredire così verso gli obiettivi di sostenibilità del Green Deal Europeo.

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