Gli organi di senso umani non funzionano negli spazi confinati
di Ing. Riccardo Borghetto, Amministratore Unico di Lisa Servizi
Nell’opinione pubblica, nella stampa, negli addetti ai lavori gli incidenti mortali multipli fanno molta più notizia di quelli singoli. E questo è comprensibile. Molte persone comuni sono sorprese di come possano accadere eventi di questo genere in cui muoiono più persone con la stessa identica dinamica.
Alcuni eventi sono diventati tristemente famosi. Mi riferisco a incidenti mortali multipli che sono avvenuti all’interno degli ambienti confinati o ambienti con sospetto inquinamento.
Citiamo tra questi senza pretesa di esaustività:
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Truck Center di Molfetta ove morirono 5 persone in un carro ferroviario che conteneva Zolfo;
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Mineo vicino a Catania in un depuratore consortile ove sono morti 6 lavoratori;
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Marghera 2 morti lavoratori morti nella stiva di una nave che trasportava soia che fermentando ha sviluppato anidride carbonica.
Questi eventi hanno suscitato una spinta emotiva molto forte che ha portato il legislatore a emanare il DPR 177 del 2011, una normativa specifica per la qualificazione degli operatori che devono operare in questi contesti.
Ma la situazione non è affatto cambiata.
Nel 2021 a Paola, in Calabria, sono morte 4 persone in una vasca di fermentazione.
Il più recente a Maggio 2024 a Casteldaccia, sono morti 5 lavoratori e uno è in rianimazione.
Vi sono poi moltissimi eventi accaduti in cantine sempre a causa della respirazione di gas tossici o assenza di ossigeno.
Perché? Perché tanti morti “fotocopia” in una dinamica che è sempre la stessa?
Cerco di fornire una spiegazione di quello che succede e porta i lavoratori ad operare in contesti pericolosissimi essendo del tutto ignari del pericolo.
La questione è legata al funzionamento dei nostri organi di senso (vista, olfatto, udito, tatto ecc).
Le nostre azioni (comportamenti) si basano sulle nostre esperienze di vita e sulla “percezione” di pericolosità di ciò che sta intorno a noi.
Ragioniamo sui nostri organi di senso per un attimo:
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Noi riusciamo a “vedere” solo alcune cose attorno a noi. Ad esempio virus e batteri per noi sono invisibili, come pure laser all’infrarosso, la radiazione solare ultravioletta o le radiazioni ionizzanti.
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Noi riusciamo a “sentire” solo certe frequenze (non gli infrasuoni e ultrasuoni per esempio).
Tutto ciò che non vediamo e non sentiamo semplicemente per il nostro cervello non esiste.
E veniamo al più disgraziato degli organi di senso: l’olfatto. Il nostro olfatto non è un granché. Tant’è che per cercare la droga negli aeroporti dobbiamo farci aiutare dai cani. Ci sono sostanze mortali che semplicemente non hanno odore, cioè sostanze che noi non riusciamo a percepire:
(elenco non esaustivo)
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Monossido di carbonio, che è estremante tossico.
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Anidride carbonica (quella che aggiunta all’acqua la rende frizzante) che può sostituirsi all’ossigeno nei processi di fermentazione.
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Metano (non odorizzato) che in caso di fuga potrebbe generare una atmosfera esplosiva senza che ce ne rendiamo conto.
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Anidride solforosa (SO2) e idrogeno solforato (H2S), che hanno un tipico odore di uova marce a basse concentrazioni, ma che ad alte concentrazioni saturano i nostri ricettori e non sono più rilevabili.
Poi c’è l’aria e i suoi composti tra cui l’ossigeno.
Il problema è che noi non riusciamo a rilevare a naso le atmosfere in cui vi sia poco ossigeno, o in cui l’ossigeno sia stato sostituito da azoto o anidride carbonica o altri gas inodori.
Noi impariamo dalle nostre esperienze (sempre che l’esperienza vissuta ci faccia rimanere vivi!): se ti scotti una volta non lo fai più. Se hai preso una scossa elettrica (come è successo a me con un condensatore elettrolitico) cerchi di stare lontano dalla corrente. Se vedi un precipizio molto alto scatta la paura e ti allontani aumentando i margini di sicurezza.
Purtroppo con i gas citati prima non vi è modo di fare esperienza e quindi il nostro cervello si comporta come se non esistessero. È un pericolo subdolo. Non abbiamo meccanismi naturali a nostra difesa. Non abbiamo la percezione che vi sia un pericolo. Non abbiamo paura.
Ecco che un lavoratore, in assenza di adeguata formazione e addestramento o in una situazione imprevista, nemmeno ci pensa. Se si trova in una atmosfera di questo tipo l’azione del gas tossico o di una atmosfera sotto ossigenata lo fa svenire. I colleghi, se presenti, cercano di intervenire per soccorrerlo, senza capire che il problema sta nell’aria che si respira. E così possono morire più persone, nello stesso modo. Io le chiamo “morti fotocopia”, con la stessa dinamica.
In altri contesti (come ad esempio lavorare in quota) se ti comporti a rischio, ti può andare bene lo stesso, grazie alla fortuna. Io noto migliaia di comportamenti a rischio che non si traducono automaticamente in infortuni. Con gli ambienti confinati no. Non possiamo fare affidamento alla fortuna.
La questione sta nel saper riconoscere che l’ambiente in cui stai entrando, anche se apparentemente non vi è nulla di strano, e non vi è alcun odore, può essere mortale. Qui la questione non è quella di “porre attenzione”, ma del rispetto rigido di procedure e di uso di strumentazione, quei nasi elettronici (rilevatori di gas) che sono in grado di sentire e misurare quello che il naso naturale non riesce a percepire.
L’accesso di lavoratori in ambienti che possono esporre a questo rischio e la gestione dell’emergenza devono essere accuratamente pianificati, proceduralizzati, controllati prima dell’esecuzione dei lavori.
Il personale deve essere adeguatamente formato e addestrato.
La normativa già prevede tutto questo, ma i lavoratori e spesso anche i loro datori di lavoro continuano a morire.
Ci sono purtroppo ancora molti contesti ove manca un minimo di cultura, di alfabetizzazione. Non riusciamo a trasferire conoscenze, competenze e abilità ai lavoratori di molte piccole organizzazioni. La normativa da sola non riesce a risolvere il problema.
Da almeno 20 anni, in tutti i corsi di formazione su sicurezza organizzati da Lisa Servizi vi è una sezione che tratta dei limiti del sistema percettivo sensoriale umano, per far capire i nostri limiti. È sufficiente? No. Non basta un corso quinquennale per cambiare i comportamenti dei lavoratori: ci deve essere un processo continuo di formazione e feedback aziendale. E qui sta il problema. Le micro aziende non sono organizzate per poter far questo.